dott.ssa S. Bosatra Nel mondo scientifico e accademico è da anni riconosciuta l’infondatezza e la dannosità delle cosiddette terapie riparative, eppure nel dibattito pubblico questi approcci trovano ancora spazio e sostegno: ecco perché nel 2019 continua ad essere importante parlarne. Che cosa sono Le terapie riparative sono approcci che considerano l’omosessualità come una malattia […]
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Linee guida per pazienti LGB: ne abbiamo bisogno?
L’idea per questo articolo mi è sorta in seguito a un dibattito avuto con alcuni colleghi che aveva come oggetto le “Linee guida per la consultazione e la psicoterapia con persone LGB ” (“Guidelines for Psychological Practice with Lesbian, Gay, and Bisexual Clients”) volute dall’APA (American Psychological Association) e le corrispondenti italiane pubblicate nel saggio dei Dottori Lingiardi e Nardelli: l’interrogativo era se questi documenti siano un qualcosa di necessario e utile per i terapeuti o, al contrario, un qualcosa di ridondante.
Fermo restando che ognuno di noi si occupa di ogni paziente (eterosessuale e non) avendo cura di favorire un setting confortevole e in osservanza del Codice Deontologico, la discussione verteva soprattutto sulle piccole sfumature che occorrerebbe tenere presenti quando si affronta per la prima volta una seduta con un nuovo utente. Non è infatti scontato che chi si rivolge a noi per una consultazione e una eventuale terapia, debba avere per forza di cose un orientamento sessuale eterosessuale.
La legge Cirinnà: un obbligo di infedeltà?
Il Ddl Cirinnà, approvato a Maggio di quest’anno, segna nel nostro Paese il primo passo in assoluto per il riconoscimento legislativo delle unioni omosessuali: un passo storico, senza dubbio, che finalmente ci allinea, seppur parzialmente, agli altri paesi – in ed extra Unione – a cui diamo per scontato di assomigliare per grado di civiltà, evoluzione e democrazia. Da più di un decennio la politica italiana cercava di dare una forma e uno statuto legislativi ad una realtà italiana fatta di tutta quella serie di persone, storie, affetti, progetti e impegni che, fino ad oggi, non potevano, letteralmente, avere una collocazione e un posto giuridici e, di conseguenza, simbolici. Come spesso accade ai primi tentativi, la Legge Cirinnà si accompagna anche a non poche perplessità e lacune che, pur non togliendo nulla alla storicità del passaggio, vale la pena di considerare in modo franco e critico. Uno degli elementi di maggiore dibattito, tanto nella comunità omosessuale quanto nel sentire comune del nostro paese, è stato la scelta di abolire, per le unioni civili omosessuali, il cosiddetto obbligo di fedeltà, allo scopo esplicito di differenziare tramite questo punto la forma giuridica dell’unione civile da quella del matrimonio.
Scopo di questo articolo è proprio quello di dialogare su questo punto, mantenendo sempre come sfondo trasversale il collegamento esistente tra il livello del riconoscimento giuridico e quello del riconoscimento sociale e soggettivo: in altre parole, vorrei che nel dialogare della scelta relativa all’obbligo di fedeltà, si tenesse sempre a mente che diritto e psicologia non sono affatto linee parallele, prive di punti in comune, ma che, anzi, costituiscono due ambiti che ricorsivamente esplicitano la loro influenza reciproca. Quello che non trova parola nella legge, non può trovare parola nel discorso sociale/psicologico, e viceversa.
Dichiararsi a se stessi e agli altri: la sfida del coming-out
Per una persona omosessuale, il coming out rappresenta uno degli atti soggettivamente più rilevanti all’interno del processo di costruzione di una propria identità. La letteratura scientifica e il parlare comune, spesso, utilizzano questo termine con accezioni differenti.
Il termine “coming out” deriva dall’espressione inglese “coming out of the closet”, letteralmente “uscire dal ripostiglio”, e può essere tradotta con il termine “dichiararsi”. Nell’uso di tutti i giorni, questa espressione viene utilizzata per indicare l’atto volontario di una persona omosessuale (o bisessuale) di rivelare ad altri il proprio orientamento sessuale (Lingiardi e Nardelli, 2014). In psicologia e sociologia, tuttavia, con coming out si intende qualcosa di più complesso, che non ha a che fare unicamente con il dichiararsi agli altri, ma prima ancora con il dichiararsi a se stessi; ci si riferisce quindi ad un processo primariamente interiore di scoperta del proprio orientamento sessuale e di costruzione di una identità come persona gay, lesbica o bisessuale.
L’orientamento sessuale del terapeuta
Quando si parla di omosessualità in psicologia o psicoterapia, spesso l’attenzione è rivolta esclusivamente all’orientamento sessuale di chi richiede un sostegno psicologico o una psicoterapia; eppure, anche l’orientamento sessuale del clinico gioca un ruolo fondamentale nella relazione terapeutica, a partire dal momento della scelta del/della professionista e lungo l’intero percorso, in cui specifiche tematiche ed emozioni possono emergere con più o meno facilità. In questo articolo, vorrei offrire alcuni spunti di riflessione su come l’orientamento sessuale del terapeuta possa influire nel lavoro clinico con pazienti omosessuali.
Minority stress: uno spettro nella comunità LGBT
In questo articolo mi sono proposta di mettere in luce alcuni aspetti del minority stress (tema che richiederebbe uno spazio ben più ampio!), malessere che, come indica il nome, interessa sempre più spesso le persone appartenenti a sottogruppi della popolazione generale che per motivi di diversa natura (etnica, politica, culturale, religiosa o sessuale), vengono discriminate.
Gli atteggiamenti degli Psicologi italiani verso l’omosessualità
Da oltre 40 anni la medicina e la psicologia non considerano più l’omosessualità come una patologia, come già più volte è stato scritto in questo blog e come testimoniano le principali organizzazioni mondiali e nazionali (APA, OMS, CNOP, ecc.). Con il progresso della ricerca scientifica, molti professionisti hanno avuto modo di rivedere le proprie posizioni circa le questioni inerenti gli orientamenti sessuali. Nonostante ciò, alcuni psicologi e psichiatri continuano a non considerare appieno l’omosessualità come “una variante normale della sessualità umana” (APA, 2012): questo ovviamente ha delle notevoli implicazioni sulla società e, in particolar modo, su quei soggetti che si affidano alle cure di uno specialista. Non è mistero, infatti, che ancora oggi vengano messe in atto terapie riparative (1), o comunque interventi terapeutici volti a modificare l’orientamento sessuale dei pazienti, specialmente quando sono proprio questi ultimi a richiedere tali prestazioni come conseguenza di un disagio psicologico, sociale e/o relazionale.
Gay-friendly: l’alleanza solidale tra eterosessuali e omosessuali
Parlando di psicologia delle persone gay e lesbiche, credo sia importante andare oltre la specifica identità sessuale e il senso di appartenenza alla comunità LGBT, per approfondire la qualità delle relazioni con le persone eterosessuali. In questo articolo vorrei infatti portare l’attenzione sul ruolo giocato dagli/dalle eterosessuali che nella vita quotidiana dimostrano solidarietà, amicizia e attivazione sociale e politica nei confronti delle persone omosessuali e dei loro diritti, rendendo così possibile una vera inclusione di chi si è scoperto non-eterosessuale.
“Riparare” l’omosessualità
La comunità scientifica internazionale – si fa riferimento, ad esempio, all’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’American Psychiatric Association e all’American Psychological Association (1) – ha ufficialmente dichiarato, ormai da decenni, che l’omosessualità è una variante naturale dell’orientamento sessuale e, come tale, non ha, di per sé, alcuna caratteristica psicopatologica. In altre parole: le persone omosessuali ed eterosessuali si sviluppano, da un punto di vista psicologico, affettivo e relazionale, in direzioni di sanità o patologia del tutto indipendentemente dal loro orientamento sessuale.
Nonostante ciò, esistono ad oggi delle minoranze all’interno del mondo accademico e clinico che sono mosse dall’intento di “curare” le persone omosessuali, e che definiscono i propri interventi “terapeutici”, appunto, terapie riparative. Il mio utilizzare il virgolettato non ha (solamente) una finalità polemica, ma piuttosto un senso contingente: scopo dell’articolo è, infatti, definire in che cosa tali terapie consistono, il loro inquadramento epistemologico, la loro validità a livello sperimentale e la loro sensatezza da un punto di vista di etica professionale.
La ricerca scientifica: istruzioni per l’uso
Negli articoli di questo blog si trova un esplicito riferimento all’utilizzo di dati provenienti dalla ricerca scientifica a sostegno dei contenuti proposti. Mi sembra quindi utile definire, per chi non sia avvezzo alla terminologia qui adottata, cosa è la ricerca scientifica, perché viene svolta, quali sono i criteri secondo cui viene intrapresa e quale sia il suo scopo ultimo. Premetto che questo articolo non sarà di per sé esaustivo, poiché descriverò solo la ricerca in ambito psicologico, ma mi propongo di toccarne almeno i punti principali.