L’idea per questo articolo mi è sorta in seguito a un dibattito avuto con alcuni colleghi che aveva come oggetto le “Linee guida per la consultazione e la psicoterapia con persone LGB ” (“Guidelines for Psychological Practice with Lesbian, Gay, and Bisexual Clients”) volute dall’APA (American Psychological Association) e le corrispondenti italiane pubblicate nel saggio dei Dottori Lingiardi e Nardelli: l’interrogativo era se questi documenti siano un qualcosa di necessario e utile per i terapeuti o, al contrario, un qualcosa di ridondante.
Fermo restando che ognuno di noi si occupa di ogni paziente (eterosessuale e non) avendo cura di favorire un setting confortevole e in osservanza del Codice Deontologico, la discussione verteva soprattutto sulle piccole sfumature che occorrerebbe tenere presenti quando si affronta per la prima volta una seduta con un nuovo utente. Non è infatti scontato che chi si rivolge a noi per una consultazione e una eventuale terapia, debba avere per forza di cose un orientamento sessuale eterosessuale.
Tag: lesbiche
Deontologia e pazienti LGBT: alcuni spunti di riflessione
Nel presente articolo cercherò di mettere a fuoco alcune specificità che ritengo importanti in relazione alla deontologia professionale di psicologi e psicoterapeuti nel lavorare con pazienti LGBT. Si tratta di riflessioni nate a partire dalla pratica clinica mia e di altri colleghi, condivise poi al fine di costruire un pensiero valido e scientificamente orientato, seppur in un terreno così importante, delicato e soggetto ad interpretazione come può essere quello dell’etica professionale.
Minority stress: uno spettro nella comunità LGBT
In questo articolo mi sono proposta di mettere in luce alcuni aspetti del minority stress (tema che richiederebbe uno spazio ben più ampio!), malessere che, come indica il nome, interessa sempre più spesso le persone appartenenti a sottogruppi della popolazione generale che per motivi di diversa natura (etnica, politica, culturale, religiosa o sessuale), vengono discriminate.
Gli atteggiamenti degli Psicologi italiani verso l’omosessualità
Da oltre 40 anni la medicina e la psicologia non considerano più l’omosessualità come una patologia, come già più volte è stato scritto in questo blog e come testimoniano le principali organizzazioni mondiali e nazionali (APA, OMS, CNOP, ecc.). Con il progresso della ricerca scientifica, molti professionisti hanno avuto modo di rivedere le proprie posizioni circa le questioni inerenti gli orientamenti sessuali. Nonostante ciò, alcuni psicologi e psichiatri continuano a non considerare appieno l’omosessualità come “una variante normale della sessualità umana” (APA, 2012): questo ovviamente ha delle notevoli implicazioni sulla società e, in particolar modo, su quei soggetti che si affidano alle cure di uno specialista. Non è mistero, infatti, che ancora oggi vengano messe in atto terapie riparative (1), o comunque interventi terapeutici volti a modificare l’orientamento sessuale dei pazienti, specialmente quando sono proprio questi ultimi a richiedere tali prestazioni come conseguenza di un disagio psicologico, sociale e/o relazionale.
Lesbiche: natura vs cultura
In questo articolo mi propongo di parlare della lettera L dell’acronimo LGBT, ovvero delle lesbiche, dando dapprima la definizione del termine, e procedendo poi sia da un punto di vista storico che da un punto di vista socio-culturale.
“Riparare” l’omosessualità
La comunità scientifica internazionale – si fa riferimento, ad esempio, all’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’American Psychiatric Association e all’American Psychological Association (1) – ha ufficialmente dichiarato, ormai da decenni, che l’omosessualità è una variante naturale dell’orientamento sessuale e, come tale, non ha, di per sé, alcuna caratteristica psicopatologica. In altre parole: le persone omosessuali ed eterosessuali si sviluppano, da un punto di vista psicologico, affettivo e relazionale, in direzioni di sanità o patologia del tutto indipendentemente dal loro orientamento sessuale.
Nonostante ciò, esistono ad oggi delle minoranze all’interno del mondo accademico e clinico che sono mosse dall’intento di “curare” le persone omosessuali, e che definiscono i propri interventi “terapeutici”, appunto, terapie riparative. Il mio utilizzare il virgolettato non ha (solamente) una finalità polemica, ma piuttosto un senso contingente: scopo dell’articolo è, infatti, definire in che cosa tali terapie consistono, il loro inquadramento epistemologico, la loro validità a livello sperimentale e la loro sensatezza da un punto di vista di etica professionale.
La de-patologizzazione dell’omosessualità in psicologia
Gli orientamenti omosessuali sono sempre esistiti, e hanno trovato differenti spazi di definizione a seconda delle epoche storiche. L’articolo si propone come un approfondimento relativo alle vicissitudini di tali definizioni, a partire dall’ ‘800 ai giorni nostri, e con particolare riferimento all’ambito psicologico-psichiatrico. Si individuano tre passaggi storici nel modo di concepire l’omosessualità: il primo, che definirei come passaggio dal dominio della religione al dominio della medicina, è collocabile nella prima metà del XIX secolo; il secondo, situabile a cavallo dei due secoli, potrebbe essere definito come passaggio da un dominio medico patologizzante, vale a dire teso alla scoperta delle origini patologiche dell’omosessualità, ad un dominio di ricerca empirica, quindi con un primissimo tentativo di analizzare il costrutto dell’orientamento sessuale a partire dai dati di ricerca e non da presupposti teorici a monte; infine, il terzo ed ultimo momento riguarda gli ultimi tre decenni e coinvolge la fase storica a noi contemporanea, e può essere definito come passaggio dallo studio dell’omosessualità allo studio di come le variabili dell’omofobia, esterna ed
interiorizzata, incidono sul livello di benessere psicologico degli individui e dei contesti sociali. L’attuale visione dell’orientamento omosessuale come variante naturale della sessualità è ampiamente
supportata dalla comunità scientifica internazionale, ma anche osteggiata da una moltitudine di contesti minoritari guidati ancora da una visione patologizzante dell’orientamento omosessuale.
LGBTI: l’acronimo dell’inclusione
LGBTI è l’acronimo che si utilizza per indicare l’appartenenza di una persona alla vasta comunità Lesbica, Gay, Bisessuale, Transessuale/Transgender e Intersessuale.