Per una persona omosessuale, il coming out rappresenta uno degli atti soggettivamente più rilevanti all’interno del processo di costruzione di una propria identità. La letteratura scientifica e il parlare comune, spesso, utilizzano questo termine con accezioni differenti.
Il termine “coming out” deriva dall’espressione inglese “coming out of the closet”, letteralmente “uscire dal ripostiglio”, e può essere tradotta con il termine “dichiararsi”. Nell’uso di tutti i giorni, questa espressione viene utilizzata per indicare l’atto volontario di una persona omosessuale (o bisessuale) di rivelare ad altri il proprio orientamento sessuale (Lingiardi e Nardelli, 2014). In psicologia e sociologia, tuttavia, con coming out si intende qualcosa di più complesso, che non ha a che fare unicamente con il dichiararsi agli altri, ma prima ancora con il dichiararsi a se stessi; ci si riferisce quindi ad un processo primariamente interiore di scoperta del proprio orientamento sessuale e di costruzione di una identità come persona gay, lesbica o bisessuale.
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L’orientamento sessuale del terapeuta
Quando si parla di omosessualità in psicologia o psicoterapia, spesso l’attenzione è rivolta esclusivamente all’orientamento sessuale di chi richiede un sostegno psicologico o una psicoterapia; eppure, anche l’orientamento sessuale del clinico gioca un ruolo fondamentale nella relazione terapeutica, a partire dal momento della scelta del/della professionista e lungo l’intero percorso, in cui specifiche tematiche ed emozioni possono emergere con più o meno facilità. In questo articolo, vorrei offrire alcuni spunti di riflessione su come l’orientamento sessuale del terapeuta possa influire nel lavoro clinico con pazienti omosessuali.