dott.ssa S. Bosatra
In questo articolo propongo un approfondimento sul bullismo omofobico, un tema protagonista di molti attuali interventi di educazione sessuale e affettiva negli istituti scolastici, che però hanno sollevato un aspro dibattito pubblico, nonché politico e religioso, sul valore educativo dei contenuti proposti e sull’adeguatezza della scuola come luogo deputato. In seguito a una necessaria premessa sulle caratteristiche del bullismo omofobico, vorrei porre l’attenzione su come l’ambiente idoneo a questo tipo di interventi, data la natura del fenomeno, debba essere necessariamente la scuola.
Il bullismo omofobico (1) consiste in atteggiamenti e comportamenti offensivi, intenzionali e ripetuti nel tempo di fronte ad un pubblico di coetanei, sulla base dell’orientamento sessuale (reale o presunto), dell’identità di genere o del ruolo di genere non conforme alle aspettative socioculturali. Tali aggressioni possono essere verbali, fisiche o di esclusione sociale, sia nelle relazioni vis-a-vis sia attraverso il web (cyberbullismo). Nella maggior parte dei casi l’attacco è diretto alla persona bersaglio della discriminazione, ma può capitare che venga preso di mira un parente o un amico di persone omosessuali o transessuali. Alla base di questa ostilità vi sono pregiudizi, stereotipi e stigmatizzazioni sociali nei confronti delle persone LGBT in quanto gruppo minoritario rispetto alla popolazione, e dunque facile bersaglio per soddisfare il desiderio di dominare sugli altri nella gerarchia sociale.
Il bullismo omofobico presenta alcune peculiarità che lo distinguono da altre forme di bullismo: a) l’attacco è rivolto direttamente all’identità sessuale o di genere della persona, e non a caratteristiche evidenti condivise con un gruppo familiare e sociale di appartenenza, come l’etnia, la disabilità, il credo religioso, il sesso biologico, ecc.; b) la richiesta di aiuto è più difficile, poiché richiamerebbe l’attenzione sulla sessualità personale (solitamente tenuta nascosta nei primi tempi di formazione dell’identità omosessuale, per paura del rifiuto da parte del gruppo familiare e sociale), scatenando vissuti di vergogna e di ansia rispetto alla paura di deludere in qualche modo le aspettative genitoriali e sociali; c) i coetanei faticano maggiormente a prendere le difese della vittima e a proteggerla, temendo di essere a loro volta etichettati come omosessuali o transgender; d) attraverso queste aggressioni omofobiche, il bullo esorcizza la sua paura dell’omosessualità, affermando di essere “normale”, eterosessuale e cisgender, rispetto al “diverso”, omosessuale o transgender.
Gli effetti del bullismo omofobico incidono sulla salute della persona, rendendola più vulnerabile a scarsa autostima, problemi relazionali, disturbi post-traumatici, depressione, comportamenti autolesivi e tentativi di suicidio (2). Oltre alla salute psicologica, la ricerca scientifica evidenzia come il bullismo omofobico produca danni anche in ambito educativo e lavorativo: la maggior parte degli episodi di omobullismo avviene a scuola, e ciò può comportare vissuti di insicurezza personale e relazionale, sino a favorire il crollo del rendimento e la dispersione scolastica (Lelleri, Pozzoli, 2010). Non sorprende, dunque, che l’intera Comunità Europea si sia mobilitata per creare piani di intervento nelle scuole per arginare il fenomeno preoccupante del bullismo omofobico, al fine di tutelare il diritto universale all’educazione. Organizzazioni internazionali come UNESCO (3) e Unicef (4) hanno evidenziato come l’omobullismo costituisca una violazione del principio di sicurezza nelle scuole, impedendo la libera accessibilità, la qualità e il rispetto all’interno dell’ambiente di apprendimento. Per questi motivi, il contrasto al bullismo omofobico è considerato ormai un’emergenza per il settore educativo, ed è importante che si realizzi proprio nella scuola per mettere in sicurezza tale ambiente, e garantire il diritto all’educazione nel rispetto di sé e dell’altro.
Gli interventi sull’omobullismo nelle scuole incontrano però molte difficoltà di realizzazione. Innanzitutto, a livello istituzionale, è difficile che un docente omosessuale si dichiari nel contesto scolastico, e che dunque possa offrirsi come modello di riferimento positivo; questo ostacolo può essere però facilmente superato grazie all’intervento delle associazioni LGBT e dei progetti che portano direttamente ai ragazzi le testimonianze di persone omosessuali e transessuali che vivono serenamente la loro identità sessuale e di genere, nonostante le difficoltà che hanno dovuto affrontare (5). Inoltre, l’idea di parlare di omosessualità e transessualità a scuola solleva spesso perplessità o rifiuto da parte di insegnanti, dirigenti scolastici e genitori: per questo motivo, i piani di intervento sul bullismo omofobico prevedono solitamente interventi a più livelli, per formare prima di tutto insegnanti e genitori, e favorire tra loro la costruzione di un’alleanza sinergica per educare insieme i/le giovani al contrasto dell’omobullismo. In assenza di un comune allineamento in termini educativi, il rischio è infatti quello di legittimare, anche inconsapevolmente, atteggiamenti o comportamenti tipici del bullismo omofobico (ad esempio minimizzare l’offesa di un insulto omofobico), confermando così nella vittima il senso di abbandono da parte delle figure educative e affettive: tale situazione si rivelerebbe nuovamente una violazione del diritto all’educazione, ma stavolta sarebbero responsabili le stesse istituzioni per l’inefficacia dell’intervento, forse ancora più dannoso del mancato intervento.
L’Associazione Italiana di Psicologia – AIP – ha dichiarato apertamente il sostegno agli interventi di educazione alle differenze di orientamento sessuale e di genere nelle scuole (6), rispondendo al dibattito nazionale sulla cosiddetta “ideologia gender”: “Favorire l’educazione sessuale nelle scuole e inserire nei progetti didattico-formativi contenuti riguardanti il genere e l’orientamento sessuale non significa promuovere un’inesistente “ideologia del gender”, ma fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualità e dell’affettività, favorendo una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana in tutte le sue dimensioni e mettendo in atto strategie preventive adeguate ed efficaci capaci di contrastare fenomeni come il bullismo omofobico, la discriminazione di genere, il cyberbullismo. La seria e appropriata diffusione di tali studi attraverso corrette metodologie didattico-educative può dunque offrire occasioni di crescita personale e culturale ad allievi e personale scolastico e a contrastare le discriminazioni basate sul genere e l’orientamento sessuale nei contesti scolastici, valorizzando una cultura dello scambio, della relazione, dell’amicizia e della non-violenza”.
Note al testo:
- Il concetto di bullismo omofobico (detto anche omobullismo) include la transfobia e la bifobia; prende dunque in considerazione tutti gli atti di bullismo ai danni delle persone LGBT in quanto non-eterosessuali e non-cisgender.
- Come esempio si rimanda ai dati della ricerca “Schoolmates” (Lelleri, Pozzoli, 2010), condotta in Austria, Italia, Polonia e Spagna nel biennio 2006-2008 nell’ambito del programma “Daphne II”, co-finanziato dalla Comunità Europea.
- Di seguito il link al documento “Le risposte del settore educativo al Bullismo Omofobico”, Titolo originale “Good Policy and Practice in HIV and Health Education – Booklet 8: Education Sector Responses to Homophobic Bullying” (UNESCO, 2012) http://unesdoc.unesco.org/images/0022/002276/227652ita.pdf
- Di seguito il link al documento “Eliminating discrimination against children and parents based on sexual orientation and/or gender identity” (Unicef, 2014) http://www.unicef.org/videoaudio/PDFs/Current_Issues_Paper_Sexual_Identification_Gender_Identity.pdf
- In Italia possiamo vantare l’esperienza del progetto “Le cose cambiano”, disponibile a questo link http://www.lecosecambiano.org
- Si veda il documento “Sulla rilevanza scientifica degli studi di genere e orientamento sessuale e sulla loro diffusione nei contesti scolastici italiani” di AIP – Associazione Italiana di Psicologia http://www.aipass.org/files/AIP_position_statement_diffusione_studi_di_genere_12_marzo_2015%281%29.pdf